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La catena alpina è da secoli dimora di popoli dalle tradizioni più diverse. Si tratta di montagne che da sempre hanno affascinato i viaggiatori per la ricchezza e l’imponenza dei paesaggi. Un tempo erano considerate ostacolo insormontabile o quasi per gli eserciti come quello dei cartaginesi, ma da tempo immemore sono state colonizzate valle dopo valle da popolazioni di varia provenienza come i Camuni risalenti al primo millennio avanti cristo, i Celti o i Walser. Nel corso del diciannovesimo secolo furono la meta prediletta di escursionisti e scalatori che dettero vita ad una vera e propria competizione nel “conquistare”, a prezzo anche di enormi sacrifici ed innumerevoli perdite,  le più imponenti cime della catena.

Oggi le Alpi sono una pallida cartolina della loro passata bellezza incontaminata. Secondo il rapporto del wwf e vari studi ogni anno le nostre belle montagne sono percorse da 6 milioni di mezzi pesanti per il trasporto merci. Particolarmente colpita è l’area austriaca che da dati risalenti al 2002 risulterebbe attraversata da circa il 60% del trasporto merci su gomma. Vanno aggiunte poi i milioni di autovetture di vacanzieri e lavoratori che transitano lungo i corridoi autostradali come la Torino-Aosta –Monte Bianco. Questa continua crescita parossistica del traffico ha prodotto gravi problemi di inquinamento atmosferico ed acustico che nelle vallate viene notevolmente amplificato per il tipo di orografia del territorio, tanto che a Courmayeur si registravano tassi di pm10 di molto maggiori rispetto a quelli registrati a Milano.

Ma se la rete stradale è in continua “lievitazione” lo sono anche i dati sul turismo di massa con i problemi che questo comporta. Se infatti gli operatori del turismo invernale sembrano preoccupati dalle sempre più scarse nevicate dovute all’effetto serra, non sembrano però considerare che l’effetto serra stesso lo provocano anche loro. Nella catena alpina si contano infatti 10000 impianti di risalita sciistici, i quali scarrozzano decine di migliaia di sciatori su dislivelli chilometrici. Ogni anno più di 200 chilometri quadrati di piste sono innevate artificialmente con 52 milioni di metri cubi d’acqua e 600 GWh di elettricità equivalenti all’energia per illuminare una città di un milione di abitanti per 8 anni. Ma le piste da sci non sono solo un enorme spreco di energia e di acqua, sono anche un problema per la biodiversità ( è stato osservato in studi scientifici che solo l’11% delle piante normalmente presenti nell’ambiente montano riesce a sopravvivere sulle piste) e producono un notevole incremento dell’erosione in un ambiente già particolarmente a rischio.

Vi sono poi i dati riguardanti il turismo che sempre più risulta concentrato nel periodo estivo e invernale, ed assume l’aspetto di un esodo biblico con annesso inquinamento, pressione demografica su territori ristretti, e incentivo all’edilizia selvaggia. Nella catena alpina, secondo i dati del wwf, si concentra il 4% del turismo a livello mondiale con 475 milioni di pernottamenti annui. Si tratta di cifre impressionanti che dimostrano l’impatto che questa massa di persone può produrre sull’ambiente e sul clima a livello globale. E proprio il clima preoccupa molto gli stessi abitanti delle nostre montagne. Il riscaldamento planetario, al quale i milioni di turisti sicuramente contribuiscono con i loro SUV e berline, sta riducendo drasticamente le precipitazioni nevose ( -18 % in media) e la durata della copertura del manto di neve, inoltre i ghiacciai si ritirano a velocità sorprendenti  e nell’ultimo secolo si sono letteralmente dimezzati.

La progressiva scomparsa delle nevi perenni con molta probabilità provocherà un collasso ecologico, economico e umano, ma come al solito pur essendo vicini al baratro non osiamo indietreggiare.

Le soluzioni per invertire la distruzione ci sono e tutti noi  siamo coinvolti:
1) Privilegiare il trasporto pubblico rigorosamente lento.
2)Porre un limite preciso ai permessi edilizi.
3) Bloccare tempestivamente la costruzione di nuove piste di sci e privilegiare
 

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